Come uscirne...

Come uscirne...

Una (pre)visione tra pessimismo cosmico e crudo realismo

Quando nel 2022 è scoppiata la guerra in Ucraina, la cosa non mi ha colpita più di tanto: ne conosco abbastanza di storia da sapere che i grandi eventi pandemici portano con sè grandi cambiamenti e grandi guerre. E’ stato così dalla peste di Atene e mi domandavo nel biennio post covid così pieno di sogni di rinascite come mai tutti pensavano che questa volta ne saremmo rimasti immuni. Noi, proprio noi, la generazione che sta dimostrando che dove mette mano fa danni (ormai anche al povero pianeta).

La geolocalizzazione dell’evento mi era tuttavia ignota ma quando si è appalesata il 24 febbraio del 22 improvvisamente “It made sense” come dicono gli inglesi. Definitely.

Quale fronte era perfetto, vicino, comodo per la vera unica forza oggi esistente in campo? La Cina?.

L’armata russa, per quanto sgangherata nei piani e nell'organizzazione operativa militare, per lo meno all’inizio, o per lo meno rispetto alla controffensiva ucraina che aveva preventivato, ha sempre avuto i due ingredienti fondamentali per una guerra: una quantità praticamente illimitata di carne da cannone e un flusso di armamenti sostanzioso e costante tramite produzione propria e rifornimenti ingenti possibili innanzitutto grazie all’aiuto dai cinesi, che sostituendosi agli europei nell’acquisto delle risorse russe, hanno permesso alla Russia di farci un sonoro marameo e continuare ad avere la liquidità necessaria (con gli aiutini anche di quelli che ci dovrebbero difendere, che hanno capito dopo 2 anni che i beni sanzionati tante volte facevano il giro lungo e arrivavano lo stesso a Mosca tramite l’istituto della triangolazione).

Alla quantità dispiegata dai russi, la compagine euroatlantica ha deciso di adottare una politica della qualità: tanta strategia. E poi ancora della strategia. Zucchero a velo di armi. In realtà la titubanza europea nel fornire difese aeree adeguate, quantità di munizioni alla pari è stata il fil rouge di tutta questa guerra: a un avversario che sa quello che vuole ed ha i mezzi per farlo si è risposto con tante frasi perentorie, qualche parolaccia, ed anche tanta peace and love da miss Italia. La paura è tanta, e parla una lingua che gli Europei non vogliono sentire.

Il gigante erbivoro vuole dialogare: siamo troppo pigri per volere la guerra. Ma Putin no. Vuole combattere. Possibilmente come nel 15/18 con in più droni e missili ipersonici.

E anche lui sa che siamo un pò pavidi e tanto pigri.

Pigri per controllare le merci, pigri per la guerra, pigri per prendere una decisione esistenziale sul futuro dell’Unione Europea come istituzione e patrimonio giuridico e culturale rispetto alle prossime generazioni; insomma proprio come ognuno di noi quando in pigiama si guarda Netflix quando sa che deve lasciare la moglie. E così, col solito sprinkling di armi, non troppo poche ma neanche troppe troppe,  per non irritare l’avversario,  si consuma un’agonia che, proprio per i piani dell’avversario - quello vero - la Cina), è bene duri parecchi anni: il dissanguamento a un tempo di Russia ed Unione Europea è un piatto troppo buono da definire ghiotto. Come non approfittare di un immenso spazio distrutto economicamente e socialmente e trasformarlo in una mega fabbrica di mutande?  L’hanno già fatto coi maiali!

E allora, come se ne esce? Secondo me non sarà una favola a lieto fine. Mi ha colpito che proprio il  ministro lituano, che i russi li conosce bene, lo abbia detto: l’Europa aspetta la castrofe. E temo che la catastrofe avverrà: e si chiamerà Zaporizhzhya: la centrale esploderà e dal chi la farà esplodere si giocherà la sorte di questa guerra: se la centrano i russi, li saluta anche la Cina: odiano i cavalli pazzi. Magari orripilati dall’evento, che gli costa almeno 45 milioni di mutande non esportate, il lavoro sporco lo fanno proprio loro.

O lo faranno saltare gli ucraini, per disperazione, perché succeda qualcosa che faccia capire all’Occidente che il nemico, come duemila anni fa, ci sta bussando all’uscio e ci sta dicendo, loud and clear “Non siamo venuti a parlare di pace, ma a dichiarare la guerra”.

E.R.

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