Tennis, Tasse e Cittadinanza

Tennis, Tasse e Cittadinanza

Jannik Sinner è cittaddino italiano. Risiede, vive, si allena e paga le imposte a Montecarlo. È per questo meno italiano?

La questione, dibattuta nell'ultima settimana sul caso individuale del campione sportivo, solleva in effetti un tema più generale che riguarda molti italiani all'estero e sul quale desideriamo portare alcune riflessioni. 

Sempre più spesso l’essere cittadino italiano viene definito dal fatto di pagare le imposte in Italia ed è in base a questa definizione di italianità che viene arbitrariamente decisoquali diritti si possano mantenere e quali no.

Noi italiani all’Estero lo sappiamo bene. Quante volte abbiamo sperimentato questo sulla nostra pelle?

Dai tempi del primo lockdown durante il Covid quando amici, colleghi e conoscenti di altre nazionalità rimanevano stupiti nel sentire che noi italiani potevamo rimpatriare definitivamente ma non potevamo rientrare in Italia per un periodo determinato (anche se avevamo genitori magari anziani, mogli e mariti e addirittura figli in Italia!). Chi di noi non si è arrabbiato durante le successive ondate di covid a leggere le restrizioni che regolamentavano diversamente gli italiani che rientravano dall’estero in base a dove avevano la residenza fiscale, come se il covid selezionasse in base al 730.

Per non parlare di chi dice convintamente che noi italiani all’estero non dovremmo poter votare, cosa che di fatto a dire il vero già accade in alcuni casi.  Nel caso migliore l’argomento è “no representation without taxation”: non paghi le imposte in Italia? sei un po’ meno italiano. Nel caso peggiore si sollevano i temi dei brogli, delle schede elettorali andate perse, delle persone che hanno passaporto italiano e non parlano italiano e così via.

(ex : In Foto del giorno da Roma Est Magazine)

La presenza degli italiani all'estero è cresciuta dal 2006 a oggi del +91% con gli italiani iscritti all’AIRE che sono il 10% della popolazione residente in Italia. Forse è su questo che dovremmo interrogarci più che sull’ italianità di cittadini che usufruiscono deldiritto di libero movimento e di libera elezione della residenza.

Senza contare che aver lasciato l’Italia, per necessità o per volontà, non significa aver definitivamente interrotto i rapporti con il fisco italiano: lo può confermare chi ha ancora una casa in Italia e paga non solo l’IMU ma anche la tassa fissa sui rifiuti (anche se evidentemente non ne produce), sui redditi ottenuti in Italia o rientra spesso in Italia e quindi paga l’IVA su tutti i servizi italiani contribuendo peraltro all’economica locale. 
Allo stesso tempo l’iscrizione all’AIRE implica la perdita del diritto all’assistenza sanitaria in Italia se non per cure di emergenza: molti italiani all’Estero desidererebbero avere la possibilità di ricorrere anche alle cure pianificate in Italia, ovviamente pagando il dovuto, secondo la proposta che noi di Azione avevamo inserito nel programma per le politiche nel 2022.

È un tema complesso e sfaccettato che richiede soluzioni altrettanto articolate come, ad esempio, quella proposta da noi di Azione per il voto AIRE, ma che certamente non si può risolvere con la solita propaganda populista e misurando il grado di cittadinanza italiana e tutto ciò che ne consegue in base al principio di pagare o meno le imposte in Italia anche perché - considerando il tasso di evasione fiscale in Italia – molti italiani sarebbero un po’ meno italiani.

Daniel Capretti
ha scritto
Sabato, Febbraio 3, 2024
Credo fermamente nel no representation without taxation. Non rende meno italiani ma non permette a chi non paga le tasse in Italia di decidere come i soldi pagati da altri saranno spesi. Non vivendo in Italia tra l’altro non si può essere a conoscenza dei problemi concreti e pratici di tutti i giorni. Credo sia forse un’idea migliore fare un Congresso degli Italiani nel Mondo.
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